L’AMORE A PAGAMENTO

Ogni mattina, nei giorni di scuola, con il sole , con la pioggia e con la neve,  le due sorelline si arrampicavano per i viottoli  che i pastori e le loro greggi, nel loro  continuo vagare da un posto all’altro, nelle interminabili giornate di pascolo, avevano scavato lungo il costone scosceso della collina; esse prendevano queste scorciatoie giacché la strada carrabile, pur  più larga e comoda, perché meno ripida, risultava  molto più lunga. Giuseppe, dal balcone della sua casa che dava proprio su questo lato della montagna,le vedeva già quando uscivano dalla loro casa; quando la grande distanza ed il punto di vista, quasi a piombo, le appiattiva, facendole apparire come due macchie azzurre nel paesaggio, per via del colore dei loro grembiuli; bozzoli che si sarebbero schiusi a mezza costa; quando avrebbero raggiunto la stretta gola della fontana della chioccia dai pulcini d’oro, battuta da venti impetuosi . Qui, la furia del vento gonfiava , sollevava i grembiuli azzurri e strattonava i loro fiocchi verdi che   rimanevano in balia del vento;   i loro lunghi capelli  sventolavano e i nastri colorati, che li tenevano legati a crocchia dietro la nuca, vi si impigliavano, vi si attorcigliavano;i petali delle rose o delle viole che , a seconda delle stagioni, le  bambine portavano a scuola per le loro maestre, strappati con forza dal vento si involavano alti per il cielo azzurro come aquiloni; ed era tutto uno sventolio di colori, un concitato battito di ali di farfalle variopinte, fragili e impaurite che cercavano riparo dalla violenza del vento.Via via che si avvicinavano al paese,  le bambine riacquistavano sembianze umane sempre più definite, fino a diventare perfettamente riconoscibili allorché venivano a trovarsi in corrispondenza del balcone della casa di Giuseppe. Ora, egli poteva  vedere nitidamente l’incarnato vellutato del viso, il nero profondo dei capelli e gli occhioni grandi e luminosi della più piccina, che,già da lontano, emettevano bagliori come stelle all’orizzonte. Diventò per lui un’abitudine disporsi più volte al giorno su quell’osservatorio particolare che era il suo balcone ! Per osservarle,la mattina quando salivano e il giorno, a scuola finita, quando scendevano. O meglio, per vederla ,perché era soprattutto la più piccola che attirava la sua attenzione: Ma il rientro, essendo tutto in discesa, avveniva in un baleno e c’era poco tempo per osservare e fantasticare. A volte, la postazione veniva occupata anche di pomeriggio, perché Giuseppe amava fare i compiti, nelle giornate di sole, al calore luminoso della veranda. E distogliendosi dal problema da risolvere o dalla poesia da imparare a memoria ,si soffermava ad ammirare la casa di Angelina.La casa aveva, di fronte, la ferrovia; alle spalle, un folto boschetto che le faceva da corona; a un lato, un mulino ad acqua con tanto di ruota in continuo movimento, e, dall’altro lato, la fiumara, il cui gorgoglio, nelle giornate serene e senza vento, riusciva a salire fino al paese.La casa, in realtà, era un casello ferroviario che si aveva l’abitudine di indicare solo con un numero, il 137 e già questo le conferiva un certo mistero. Sul davanti, aveva un corpo avanzato, tutto a vetri nella sua parte  anteriore, che occupava solo mezza parete del piano terra e ciò dava a tutto l’immobile movimento e leggerezza, unitamente ad un tocco di civetteria.Dal balcone della sua casa, Giuseppe riusciva a seguire tutto l’andirivieni della numerosa famiglia che sfaccendava freneticamente intorno alla casa; senza però riuscire ad individuare Angelina, in quanto la grande distanza e la prospettiva, annullavano interamente le differenze di altezza e di corporatura, facendo apparire tutte le persone come puffetti. E la stessa casa, sempre per la distanza e per l’angolazione visiva, appariva di proporzioni così ridotte, così magica per i bagliori che la vetrata proiettava tutt’intorno, così irreale nella sua leggerezza, così fiabesca per le sue rotaie, proprio davanti alla porta di ingresso, per il suo boschetto, il suo mulino ad acqua con la sua grande ruota, per il suo nastro argenteo di acqua limpida ai suoi piedi, a mo’ di tappeto, così carica di mistero con quel numero 137 stampato in alto sulla parete, da sembrare abitata da Biancaneve e dai suoi sette nani, giacché tanti erano, oltre ad Angelina, i minuscoli esseri indaffarati tutt’intorno alla casetta. Giuseppe, tuttavia, in ragione della sua tenera età, infatti, allora, aveva solo sei anni, non era in grado di spiegarsi e neanche se lo domandava, perché nutrisse tanto interesse per quella bambina. Forse perché, attraverso lei, riusciva ad entrare in un mondo di fiaba e questo lo affascinava. Tanto interesse,però, non passò inosservato a  Beatrice, una vicina di casa, che ,dopo una  lunga e attenta osservazione che le fece inquadrare bene la cosa,  cominciò a fargli delle strane domande :

- Ascolta, Giuseppe……è vero che Angelina ti piace ?
- Sì, rispose timidamente,il bambino.
- Angelina è bella::: vero?
- Sì, è molto bella.

Fin qui, Giuseppe era in grado di dare delle risposte, ma quando Beatrice gli chiese:

-...ma è la tua fidanzata?
Giuseppe non seppe proprio come rispondere, non avendo alcuna idea di cosa potesse significare essere fidanzati.
Allora, Beatrice, interpretando intenzionalmente  e maliziosamente la mancata risposta come un’esigenza di riservatezza, lo incalzò:

- Su,.. a me lo puoi dire! Resterà un segreto fra me e te…………..nessuno verrà a saperlo…..neanche mamma e papà. Capito?

Siccome Giuseppe non dava alcuna risposta, per poterlo smuovere dal suo silenzio, Beatrice si mise a spiegargli un po’ le cose, dicendogli che, quando due persone si vogliono bene, allora diventano fidanzati e poi si sposano.

- Tu vuoi bene ad Angelina ? domandò Beatrice
- Sì, rispose Giuseppe senza alcuna esitazione, perché questa era una parola che capiva
- Allora, riprese Beatrice, se le vuoi bene, ti devi fidanzare con lei. Sai come si fa ? Le devi comprare un bell’anello, come pegno di fidanzamento e glielo devi regalare      così lei non puo’ fidanzarsi con nessun altro………Anzi… sai che facciamo ? Tu mi porti diecimila lire…….La settimana prossima che è la festa dell’Annunziata io compro un bell’anello e poi lo do ad Angelina, dicendole che glielo hai mandato tu……perché così si fa. Anche i grandi fanno così…….Va bene?
- Sì, rispose Giuseppe; contento di dover prendere parte ad una sorta di rito magico, il cui senso di mistero veniva accresciuto da quel patto di segretezza solennemente pronunciato; il che ne faceva una cosa per soli iniziati.

Né la cifra lo spaventò, perché, a quell’età non aveva minimamente maturato il senso ed il valore del denaro; e diecimila lire erano per lui nient’altro che quei fogli di carta rossiccia, grandi come un fazzoletto, che nella sua casa circolavano in abbondanza, a cavallo tra gli anni 40 e 50; unitamente, beninteso, ad altri tagli che lui distingueva non per il  valore ma per le dimensioni più ridotte dei fogli. Sapeva dunque che la cifra chiesta da Beatrice era rappresentata dal foglio più grande e, quanto al suo valore reale, esso corrispondeva più o meno ad un quintale di caciocavalli, con tanto di marchio PS, che commercianti dei paesi confinanti,ma anche da fuori regione,venivano a comprare in tale quantità nella sua latteria. E tutto ciò, invece di intimorirlo, lo eccitava ancor di più,  perché faceva accrescere ai suoi occhi il valore dell’operazione che si apprestava a compiere. Del resto, egli sapeva che non avrebbe avuta alcuna difficoltà a procurarsi quel pezzo di carta, perché il padre, in seguito ad una tragica vicenda di famiglia provocata dal fallimento della Banca di San Gregorio Magno, come diretta conseguenza del crollo di Wall Street, non depositava più in banca neanche un soldo; così, tutta quella  ragguardevole quantità di denaro  che quotidianamente proveniva dall’industria casearia a conduzione familiare, con annesso allevamento  di maiali, nonché dal panificio e dall’azienda agricola, concessa in conduzione ad un mezzadro, preferiva tenerselo al sicuro nel primo cassetto del comò della stanza matrimoniale, al quale si accedeva senza combinazione alcuna. Perciò, Giuseppe, detto fatto; facendo  bene attenzione a non essere scoperto, aprì il cassetto del comò e ne prelevò un bel fazzolettone; giusto quello che stava in cima  al mazzetto. Immediatamente si recò a casa di Beatrice, che abitava proprio lì vicino; tenendo ben stretti e nascosti i soldi in una mano e salendo a due a due i gradini della ripida e irregolare scalinata. Era entrato tante volte in quella casa. Ma solo adesso notò l’indigenza estrema in cui si viveva. Le pareti, tutte stonacate, erano nere di fuliggine; il pavimento era  disseminato, qua e là, di buche che Beatrice provvedeva, di tanto in tanto, a riempire con l’argilla, che lei stessa andava a scavare sotto la chiesa della Concezione; il mobilio era quasi inesistente: solo una piattana con qualche piatto rotto,i cui pezzi erano stati ricuciti con lo spago; si trattava di quei piatti così grandi nei quali vi mangiavano contemporaneamente tutte le persone della famigliae, all’occorrenza, anche gli ospiti;  un letto molto alto da richiedere l’ausilio di una sedia per potervi salire; fatto di un materasso riempito con foglie secche di mais, adagiato su tavole ,a loro volta poggiate su  cavalletti di ferro.Il soffitto era costituito da una cannucciata annerita dal fumo, da cui pendevano serti di mele, che lasciavano indovinare l’originario colore giallo solo nei punti in cui la fuliggine non  era riuscita ad attaccarsi.Ma perché solo ora, Giuseppe notava la grande miseria che vi regnava ? Forse perché, conservando intatta nella sua mente  l’immagine di quella casetta fatata nei pressi del fiume, il raffronto diventava inevitabile, essendo entrambe lo scenario di una medesima inebriante  avventura. Da quel momento, l’interesse e la curiosità per Angelina crebbero a dismisura. E l’attesa per vederla diventò ansiosa e frenetica. Giuseppe, in realtà, non sapeva che cosa precisamente dovesse succedere ; ma sapeva che qualcosa sarebbe accaduto. Ora c’era un motivo in più per scrutare dal suo balcone se quel luccichio lontano, che a volte Angelina proiettava, proveniva dall’anello che egli le aveva regalato; l’osservazione si faceva più minuziosa quando la bambina  veniva a trovarsi in corrispondenza del suo balcone;ma, forse, le rose o le violacciocche per la maestra, nascondevano l’anello e lo coprivano alla sua vista. Però, quella volta, egli fece di più.Appena la bimba non potette più essere osservata da quella postazione, Giuseppe, di corsa, uscì di casa e raggiunse, sempre di corsa, un punto di osservazione più diretto : il muretto accanto al tabacchino che delimitava l’ultima rampa della gradinata, per l’accesso alla strada.Da questo posto,egli l’avrebbe avuta proprio di fronte e, quindi, avrebbe potuto scrutarla meglio.Lei gli passò proprio accanto, lo sfiorò quasi e Giuseppe, con gli occhi fissi sulle mani di Angelina, pote’ constatare che non aveva alcun anello. Giuseppe ne fu molto contrariato,come per un gioco intrigante che era stato interrotto al suo inizio. E senza cercare di darsi una spiegazione ma solo per scoprire una regola del gioco di cui egli non era stato ancora messo a conoscenza, prima di andare a casa per prepararsi per la scuola, passò da Beatrice. Questa, appena lo vide entrare, senza neanche aspettare che lui le domandasse qualcosa, gli disse:

- Perché sei così triste ?…..Forse Angelina non ha messo l’anello ?
- No….,rispose Giuseppe, già più tranquillizzato dalla domanda di Beatrice, da cui si evinceva chiaramente che il fatto di non aver messo l’anello era una cosa da mettere in conto…..
- Be’……. io gliel’ho dato………..un bellissimo anello d’oro, con una pietra grande e…lucente, più del sole….Ma lei mi ha detto che non le piaceva molto……però se l’è tenuto!.E poi la signorina non lo ha messo………..la signorina fa i capricci!…..Cominciamo proprio bene!……Però io ti dico di insistere…….Gliene compri un altro più grande e più bello e….poi vedrai se non lo mette! Possiamo fare come l’altra volta…….e non diciamo niente a nessuno ……capito! Hai visto come ho saputo tenere il segreto la prima volta! E così sarà per tutte le altre volte…..! Va..va…..

Lo stesso  pomeriggio, immediatamente dopo il rientro dalla scuola, Giuseppe ripeté l’operazione comò;raddoppiando,però, il numero di fazzoletti;ed anche questa  volta, i suoi genitori, esclusivamente intenti ad accumulare, non si sarebbero accorti del nuovo prelevamento. Ed anche questa volta, così come tutte le altre volte che seguirono con frequenza sempre più intensificata, Giuseppe continuò i suoi appostamenti, alternando,in maniera frenetica, l’antica e la nuova postazione; ma tutti gli avvistamenti davano sempre lo stesso risultato : mani spoglie e dita interamente nude! Però, Giuseppe, abilmente incoraggiato dall’ostinazione di Beatrice, continuò a giocare ai fidanzati per decine di volte ancora, finché, dovendo egli trasferirsi a Salerno per continuare gli studi,  i tre si persero di vista.
In questa nuova città, egli si portava dentro una sensazione di delusione mista ad amarezza per quel gioco mai portato a termine; al punto che, più di mezzo secolo più tardi, essendo Angelina rientrata dall’Argentina, dove  si era trasferita con tutta la sua famiglia, nella prima metà degli anni ’50,e avendo egli avuto occasione di rivederla, in occasione di un evento luttuoso che si era verificato nella famiglia di lei, Giuseppe,appena l’ebbe riconosciuta, istintivamente diresse gli occhi sulle sue mani inanellate, attardandosi a scrutare e ad ammirare attentamente; solo uno sguardo rapido e carico d’invidia fu riservato all’uomo che le stava accanto; a colui, cioè, che aveva saputo portare a compimento  quel gioco dell’anello che per lui non riuscì mai a concludersi.