CATERINA

Teodora partì per l’America una mattina di Gennaio del 1930; nevicava forte e tirava un vento gelido che le tagliava la faccia; così, avvolta nei suoi miseri panni, si avviò tristemente per andare incontro al suo destino.Soltanto suo fratello decise di accompagnarla, perché da sola lei non sarebbe stata in grado di raggiungere il porto di Napoli per l’imbarco.Anche il mulo, su cui aveva caricato le sue povere cose, incedeva a fatica, quasi svogliatamente, sulla neve.La sorella più piccola che doveva riportare la “vettura” dalla stazione ferroviaria di Baragiano, una volta che Teodora e il fratello fossero saliti sul treno,piangeva disperatamente per la partenza della sorella.Lungo il percorso, si coprirono talmente di neve da confondersi con quel soffice e profondo tappeto bianco su cui affondavano con circospezione i loro passi lenti e cadenzati come per una danza solo mimata..Il saluto con la sorella fu straziante; ognuna delle due sapeva con certezza che non si sarebbero mai più riviste e neanche mai più sentite. E di scriversi neanche a parlarne, perché nessuna delle due era andata a scuola.
Come Dio volle, con il primo chiarore dell’alba, Caterina si avviò a dorso di mulo per la strada del ritorno.
Passarono i giorni, i mesi, gli anni ma Caterina non si dava pace e la grande pena che aveva  per la sorella lontana non si placava.Finché un giorno il cuore non si aprì alla speranza.Avvenne che un amico di famiglia molto acculturato che viveva in un altro paese, non molto lontano da Baragiano, venne a far visita alla sua famiglia, fermandosi a pranzo con loro.Tra un piatto e l’altro, tra una chiacchiera e l’altra, egli parlò della telefonia senza fili, prendendo spunto e commentando un importante avvenimento di cui tutti i giornali del tempo avevano ampiamente trattato,nelle ultime settimane : l’installazione del servizio radio a microonde tra la Città del Vaticano e Castel Gandolfo ad opera di Guglielmo Marconi.Ne parlò con grande ammirazione e con dovizia di particolari, con l’intento non dichiarato ma sfacciatamente evidente di suscitare meraviglia nei suoi interlocutori, spiegando anche che era possibile comunicare a grandissima distanza, anche con persone che stavano in America. Questa dell’America fu l’unica parte del discorso che Caterina afferrò; in fatti della prima parte in cui l’amico, che si dava l’aria di un vero intenditore, parlava di onde elettromagnetiche, stazioni emittenti, onde corte e quant’altro, lei non aveva capito assolutamente nulla e non perché intenta a sfaccendare in cucina ed a servire in tavola; né si intromise in quella dotta conversazione, nella quale suo fratello sembrava fare la sua bella figura.Ma quando le si toccò quel nervo scoperto, abbandonò di colpo le sue faccende e, volendo essere sicura di aver capito bene, domandò :

- Ma davvero, ……Antonio…… è possibile far arrivare la propria voce fino….in America?…….Allora io ……volendo…..posso  farmi sentire da Teodora ?

- Ma certo che è possibile! Infatti, soprattutto se l’aria è calma…………………………………………

Invano l’amico tentò di avventurarsi in una spiegazione scientifica del fenomeno anche perché questo avrebbe contribuito ad accrescere  presso i suoi ospiti il prestigio di cui già godeva .ma Caterina,saputo ciò che le interessava, abbandonò la compagnia e ritornò alle sue faccende con la stessa rapidità con cui le aveva interrotte, pregustando già la gioia di poter sentire la voce della sorella a distanza di tanti anni.Per tutta la sera e per tutta la notte, infatti non riuscì a chiudere occhio, cercò di appuntarsi mentalmente tutte le cose di cui, per tutto quel tempo, non aveva potuto parlarle; della morte dei genitori,dei suoi amori finiti,del suo dolore inconsolabile per la lontananza, della sua fatica di vivere, delle loro amiche comuni,di ciò che ne era stato di ognuna di loro e di tante,tante cose ancora che le sarebbero venute in mente,al momento.
Non appena incominciò ad intravedere, attraverso i vetri della finestra, i primi bagliori dell’alba, piano piano, senza far rumore, uscì di casa  in punta di piedi e, calzate le scarpe sul primo gradino dell’uscio ,con passo svelto e deciso,come per andare a soddisfare urgenti bisogni fisiologici mattutini, si diresse verso la Concezione, uno dei punti più alti del paese.Questo luogo, molto aperto, domina ,dai due lati, le strette e lunghe vallate del Marmo e dell’Isca della Botte e, frontalmente, la vallata più ampia del Marmo-Platano,in cui le due fiumare confondono le loro acque,chiudendo la collina, su cui il paese è adagiato, in una sorta di penisola collegata all’altra sponda mediante il ponte di ferro ed il ponte della ferrovia.Da questo punto la vista spazia libera,inglobando in un unico colpo d’occhio tutti i paesi del circondario,disposti sulle montagne circostanti  a quasi ugual distanza da Baragiano che viene così  a trovarsi in una posizione centrale, sì da sembrare che gli abitati di Ruoti, Picerno, Bella, Muro, Castelgrande e Avigliano siano disposti lì a mo’ di sentinelle a sua protezione e difesa.
Arrivata, dunque, qui e appoggiatasi al muro della Cappella della Concezione per non essere vista da nessuno,Caterina, col cuore che le arrivava in gola, tanto batteva forte, con una mano posta all’estremità della bocca, come per incanalare meglio la voce in modo che non si disperdesse nella vallata, e con l’altra che premeva con forza sul petto, come per evitare che scoppiasse, si mise a urlare al vento con quanto fiato aveva:

- Teodò……………..Teodò…………….Teodooooooooooooraaaaaaaa!

Non avendo ricevuto alcuna risposta a questa prima chiamata, dopo un momento di attesa,Caterina, pensando che la posizione scelta non fosse adatta a conseguire lo scopo,si allontanò di qualche passo dal muro della chiesa. In questo modo avanzò fino al limitare estremo del pianoro, uscendo così allo scoperto; ma ora essa era disposta a sfidare tutte le orecchie e tutti gli occhi indiscreti di coloro che in quel momento si trovavano a passare per la strada sottostante.Essendo diventata più sicura, il cuore rallentò i suoi battiti, recuperando   il suo ritmo normale .Caterina si trovò così a disporre anche della mano ,impegnata prima per  il petto,da poter accostare all’altra estremità della bocca per incanalare meglio la voce; anzi, si diceva, quella sorta di tubo formato dalle mani avrebbe spinto direttamente lontano la voce, evitando anche il rischio che qualcuno, più vicino, la sentisse.
Così posizionata e sporgendosi istintivamente sullo strapiombo, come se si affacciasse ad un balcone, quasi per accorciare le distanze con l’America si mise a urlare con quanto fiato aveva in gola, con la stessa cadenza della prima volta ma molto,molto più forte :

- Teodò……………Teodò……….Teo…DORAAAAA!

Neanche questa volta ricevette risposta ma non volle darsi per vinta e continuò a chiamare sempre più forte:

- TEODO’……………TEOD0’………TEODOOOOOORAAAAAAAAAAAAAAAAAA……..!

E si sporgeva sempre più in avanti, ritenendo che anche un solo millimetro potesse essere utile finché, continuando a urlare sempre a gola spiegata e avanzando sempre più di centimetro in centimetro,precipitò dallo strapiombo.
Ma nel suo volo di un centinaio di metri , l’eco pietosa le rimandò l’ultimo suono di quel nome con tanta forza e passione urlato; quell’AAAAAAA……… che lei scambiò per la risposta della sorella che le urlava CATERINAAAAAAAA!;e, per un miliardesimo di secondo fu felice;infatti ,sul suo volto martoriato, lo sguardo appariva sereno e la bocca disegnava un sorriso che non aveva fatto in tempo a schiudersi interamente.