NICE TO MEET YOU!

Carmela se ne stava seduta quasi tutto il giorno sul primo gradino della scala esterna che portava al primo piano della sua casa, costruita pezzo su pezzo ed ingranditasi considerevolmente nel corso di lunghi anni; inizialmente, infatti, questa era costituita da un unico spazioso ambiente seminterrato, che fungeva da cucina, soggiorno e stanza da letto per tutta la famiglia. Il bagno, a quell’epoca, inizi degli anni quaranta, era un lusso che solo in pochi potevano permettersi; anche perché in paese non si disponeva di acqua corrente nelle abitazioni. Ma questo non costituiva un problema quasi per nessuno, considerato che si passava la maggior parte del tempo a lavorare all’aperto, nei campi, dove era facile trovare un angolino nascosto in cui appartarsi per i propri bisogni fisiologici. Tuttavia, negli anni cinquanta, quando si completò l’acquedotto che fece arrivare l’acqua in tutte le case, più per seguire l’esempio di tutti gli altri che per soddisfare un’esigenza realmente sentita, Carmela si fece costruire anche il bagno. Non all’interno della sua abitazione, per non sottrarre spazio all’unico ambiente esistente, bensì all’esterno .Allorché le esigenze abitative aumentarono ( si era già al sesto degli otto figli avuti !), attingendo, spesso di nascosto dal marito, al misero gruzzolo, messo da parte, anno dopo anno, con grandi sacrifici e rinunce, Carmela si fece costruire un’altra stanza, al piano superiore, con una scala esterna per accedervi; E questa diventò la camera da letto. Poi, con il passare del tempo, un’altra e poi un’altra ancora, una attaccata all’altra. Tutte le case crescevano così, addosso alle famiglie, a mo’ di vestiti che si allungavano e si allargavano, a seconda delle necessità.
Proprio sul primo gradino della scala, Carmela trascorreva buona parte della sua giornata, una volta sbrigate le faccende domestiche, intenta a sferruzzare, più per abitudine che per bisogno, e a chiacchierare con la gente del vicinato che veniva a sedersi anch’essa su quella scalinata, durante gli afosi ed inoperosi pomeriggi estivi. La scala, infatti, dava sul lato Nord della strada e, quindi, nelle ore pomeridiane, veniva a trovarsi nel bel mezzo dell’ombra che la casa proiettava sul selciato, fatto di ciottoli di fiume, ben levigati ma irregolari e sconnessi .Era come assistere in diretta all’opera di un pittore che, con procedimento inverso a quello di un Demiurgo, abbozzava sulla sua tela,copiandole e trasfigurandole,le forme del reale; ed in quest’altro mondo che si veniva creando,le case, i comignoli, i balconi e le grondaie avanzavano lentamente sulla strada , adattandosi perfettamente a tutti gli ostacoli che incontravano; quindi si spezzavano,si incurvavano e si piegavano, per ricomporsi subito dopo in linee più continue, esaltando, in quel netto contrasto di luce  abbagliante e di spento grigiore, quell’atmosfera irreale, che avvolgeva tutto e tutti. Man mano che i minuti scorrevano, l’ombra si allungava e si allargava, fino a coprire le case del lato opposto della strada, aumentando in tal modo sempre più i posti a sedere di questa platea all’aperto, di una sorta di teatro improvvisato ed occasionale, ma  estremamente originale  nel suo impianto scenico; e, nello stesso tempo, ultra fedele alla tradizione classica, per le  recite a soggetto che vi si svolgevano, e fortemente innovativo o, addirittura, rivoluzionario come un teatro d’avanguardia. Infatti, qui, si era insieme spettatore e attore, giacchè, oltre a godersi lo spettacolo dell’occasionale e malcapitato passante, ciascuno ricopriva anche il ruolo di colui che, quasi come una vecchia e consumata spalla del teatro di varietà,gli rivolgeva una domanda,cercando di orientarlo già nella risposta; al solo scopo di provocare una sua reazione o un atteggiamento che facesse scena, in modo da alimentare quella  loro vuota ma vivace conversazione pomeridiana.
Si domandava al passante che non si fosse fermato  a chiacchierare con loro :

- Dove vai così di fretta?!

E il passante, pur non volendo dare conto a loro dei fatti suoi ma sentendosi, comunque, in dovere di rispondere per buona educazione, dava risposte talmente vaghe che la morbosa curiosità di questa gente ne risultava assolutamente inappagata. Le sue risposte, infatti, erano del tipo :

- Mo’...arrivo….!

E qui, qualcuno del coro, rispondeva, con una punta di malcelato disappunto :

- Bè !…..scrivi quando arrivi!

A questo punto, ognuno, a turno, si lanciava in una ridda di ipotesi sulla destinazione del povero malcapitato che, fino a quando non fosse intervenuto un fatto nuovo a portare linfa fresca alla conversazione, veniva sottoposto ad una vera e propria vivisezione; e vizi, difetti, virtù, affetti e abitudini di vita diventavano oggetto di animatissimi dibattiti che, a poco a poco, finivano per allargarsi all’intero parentado; e non ci si limitava solo agli apprezzamenti ed ai commenti malevoli ma si cercava di imitarne anche il modo di parlare , la loro cadenza, l’espressione e la gestualità. Questa sorta di laboratorio teatrale all’aperto continuava fino a sera, ed era interrotto solo dalle urla incontrollate dei bambini che, per i loro giochi, chiassosi ed affollati, sceglievano l’ombra delle case, sistemandosi proprio sotto le scale di Carmela. E questo  ,consentendo di aprire il sipario su un nuovo palcoscenico e fino a quando qualcuno non avesse, d’autorità, riportato la calma tra i bambini , creava un intermezzo forzato, ma non per questo meno ricco di situazioni teatrali e di spunti per osservazioni e commenti più allargati.
Carmela si sentiva interamente appagata da tutto questo e per nulla al mondo avrebbe mai rinunciato alle sue giornate di un ozio così intenso e frenetico.Del resto, come amava sempre ripetere, aveva rinchiuso i suoi buoi; a significare che aveva ormai sistemato tutte le sue cose  e poteva, pertanto, permettersi di starsene con le gambe,una sull’altra, a godersi i frutti di una vita di duro lavoro. Ormai, raggiunta l’età di quasi 70 anni e rimasta vedova, aveva completamente abbandonato i lavori dei campi. Anche i suoi otto figli, uno dietro l’altro, avevano trovato la loro sistemazione, emigrando tutti in America. Da qualche tempo, tuttavia, i suoi figli, nelle rare lettere che le scrivevano, le esprimevano la loro grande preoccupazione di saperla lì da sola, alla sua età. E lei aveva un bel dire che non dovevano stare in pensiero per lei perché lei stava bene e sapeva badare a se stessa; i figli, sempre più insistentemente le annunciavano che, un giorno o l’altro, qualcuno di loro sarebbe venuto a prenderla per portarla in America. Carmela pensava a questa eventualità, che, tuttavia stava diventando sempre più una certezza, con grande tristezza. Il solo pensiero di dover partire le creava maggiore angoscia della stessa morte; infatti, alla morte, era preparata già da tempo, essendo stata educata fin da piccola a considerare ogni attimo che passa come un attimo rubato alla morte;è lei soltanto padrona incontrastata di tutto ed alla sua magnanimità dobbiamo la concessione della vita,che ci è stata accordata non in proprietà, ma  a titolo di mero usufrutto, non perpetuo.
Man mano che le richieste dei suoi figli diventavano più pressanti e più circostanziate nelle loro modalità di esecuzione la sua agitazione aumentava. Ed anche il postino, a cui fino ad allora era andata incontro trepidante, per sapere con un po’ di anticipo se in quel suo borsone pieno d’America c’erano per lei lettere dei suoi figli, ormai le procurava ansia ed un forte senso di fastidio. Perciò, quando quel giorno  lei lo intravide da lontano, invece di andargli incontro, come aveva sempre fatto,immediatamente raccolse, con movimenti nervosi, i ferri ed il gomitolo di lana nel suo grembiule, si alzò di scatto ed entrò in casa come per nascondersi.In realtà, lei sapeva bene che, anche se non si fosse fatta trovare dal postino, non sarebbe comunque riuscita ad evitare la consegna della lettera; giacché questa sarebbe stata consegnata ai vicini, così come già tante altre volte era avvenuto; ma era ormai in preda ad una grande agitazione e non sapeva neanche lei cosa dovesse fare.Il postino, ancora un po’ lontano dalla sua casa, la chiamò, urlando forte prima il cognome e poi il nome e facendo precedere, come d’abitudine, la chiamata ufficiale da un colpo secco e prolungato di fischietto.
Egli continuava ad avanzare nel suo giro quotidiano; fermandosi, qui, a consegnare la posta, lì a scambiare qualche parola; un po’ più avanti, a rassicurare coloro che quel giorno non avevano ricevuto alcuna missiva, promettendo  qualcosa per l’indomani.Per suggellare questa promessa, egli, infatti, pronunciava, con convinzione, alcune poche parole che, ripetute ad ogni angolo di strada, per centinaia di volte al giorno, erano diventate, con il passare degli anni, una sorta di formula del suo rituale quotidiano.

- Oggi no, domani sì !

E queste parole, consolatorie e rassicuranti nel loro messaggio di speranza, si erano caricate nel tempo di un potere quasi magico; e tutte le ansie per una notizia  che tardava ad arrivare si stemperavano, al solo udirle pronunciare, in un  sentimento di serena e fiduciosa attesa.
No, Egli, non era un semplice latore di lettere e cartoline! Egli era l’intermediario divino tra quel paesino sperduto e mondi lontani ed inaccessibili; il tramite tra due cuori innamorati e lontani; il messaggero, un Nunzio, se non lo stesso Creatore; ed il suo borsone, in cui tutto il mondo era racchiuso, tutti i sentimenti, tutte le nostalgie, tutte le gioie e tutti i dolori, egli  lo portava con grande orgoglio e con solennità, sentendo su di sé tutto il peso di quell’alta missione che gli era stata affidata;missione di cui, e questa era forse la cosa più importante per lui, tutti  riconoscevano il valore. Perciò, quando la mattina si preparava ad iniziare il suo giro per la consegna della posta, egli non indossava la semplice, dozzinale divisa del postino; egli indossava  i paramenti sacri del sacerdote che si accinge a celebrare la sua messa quotidiana; e il suo borsone portato a tracolla su un fianco, ma tenuto amorevolmente sollevato con una mano, finiva per diventare il ciborio con le ostie consacrate che il celebrante eleva al cielo dall’altare; mentre il fischietto, su cui egli soffiava con forza, suonava per le strade in maniera festosa, chiamando a raccolta i fedeli per la cerimonia della lieta novella.
I timori di Carmela non erano infondati! Nella lettera che, dopo ripetute chiamate, fu costretta a consegnarsi, il figlio Antonio, le annunciava che presto sarebbe venuto a prenderla: A niente valse la sua resistenza: Carmela dovette partire: Ma non sarebbe diventata mai americana, minacciava!
Per il suo arrivo i figli, organizzarono una grande festa. E quando gli amici americani le si avvicinavano per presentarsi e salutarla, lei che non capiva una parola di quel che dicevano, tirò fuori il suo bel dialetto con le sue espressioni più colorite e, a ciascuno, con un sorriso forzato e affettato da sembrare una smorfia , in risposta ai loro  bei“ Nice to meet you !”, che alle sue orecchie suonavano come vere e proprie parolacce, diceva con tono deciso  e con un’espressione del viso,addolcita  e sorridente, da farla sembrare un complimento:

- Va a ffà ‘ncul’::::tu e tutta la tua famiglia !!!!!, E apriva le braccia più che poteva,come per indicarne la strada e piegandosi in avanti, come se avesse voluto addirittura accompagnarle.

Potenza delle lingue non capite! Quella loro gentile espressione di circostanza, suonava sconcia alle sue orecchie, avvezze solo ai suoni aspri del suo dialetto, così come quella sua espressione, questa sì davvero sconcia, ma pronunciata in modo da apparire ossequiosa e dal ritmo e dall’intonazione completamente nuovi, suonarono alle orecchie americane come il più dolce e gentile degli apprezzamenti: E dire che lei  l’aveva caricata di tutta la  rabbia che covava in corpo per sentirsi colà così fuori posto;di tutto il rimpianto per il suo paese e per le sue “ rappresentazioni scaligere”e di tutta la forza dirompente che si puo’ sprigionare solo dallo scoppio di una bomba atomica!
Gli amici americani la trovarono deliziosa.